Il peso forma del foodblogger. Parliamone


Questa meravigliosa vignetta, rubata l'altro giorno sulla bacheca della mia amica Flavia (grazie Flavia), è caduta a fagiolo. Si perchè era da un po' di tempo che volevo parlarvi di un "dietro le quinte" riguardante i foodblogger, spiegarvi qualcosa che forse voi ignorate e/o non sapete e/o di cui non vi frega nulla e cioè: ma i foodblogger, nel quotidiano, come riescono a gestire la loro linea?
Ecco. Parliamone. Io non ne ho idea.
Nel senso che posso dirvi come faccio io o sarebbe più corretto dire come vorrei iniziare a fare più regolarmente io (e vedete che mai vignetta fu più azzeccata) ma sui metodi di gestione del peso degli altri foodblogger non ho informazioni attendibili. L'unica cosa che posso fare è buttar lì ipotesi in base ai soggetti conosciuti fino ad ora e che possono racchiudersi in tre macrotipologie.
- Foodblogger Tipo 1. Il foodblogger che lo è per passione vera e la sente quasi come una missione. Non si abbasserá mai a pensare ai chili che aumentano, cena dopo cena, degustazione dopo degustazione, lui è stato destinato alla vita da foodblogger giá dalla culla. Anche se all'epoca non esistevano ancora i food blog. E nemmeno internet.
- Foodblogger Tipo 2. Il foodblogger che non deve chiedere mai, bello o bella che dir si voglia, in forma o quantomeno non grasso, passa da un evento food a una cena con degustazione de laqualunque con la stessa frequenza con cui io mi cambio la biacheria. Ma non mette su un chilo. Riuscire a capire come gli sia concesso mangiare senza ingrassare è il vero mistero del XXI secolo 2.0 
- e poi ci sono quelle come me. Foddblogger Tipo 3. Amano cucinare ma forse ancora di più mangiare. Amano provare cibi nuovi, ristoranti e sfidare se stesse mangiando cose che fino a ieri #maancheno (leggi milza, 'nduja e simili) ma non avendo più 18 anni le loro incursioni nel magggico mondo del food si trasformano, volente o nolente, in cuscinetti, chili di troppo, varie ed eventuali. Così, tra un evento food e una degustazione, tra una ricetta e l'altra,  si ritrovano - loro malgrado - a dover scegliere. O la fame o la vita.
E scelgono la fame, che si materializza in verdurine al vapore, a crudo, carni rigorosamente bianche, qualche uovo qua e là e formaggi "maancheno" (al massimo una crosta di parmigiano) e paste integrali, pani idem, cereali e legumi e tanta, tanta acqua. Liscia per giunta. E poi frutta, due volte al giorno (per carità di Dio lontano dai pasti) e pesce "quandomiricordo", il tutto condito da incursioni a tradimento da Naturasì (perchè se ci sono poco più di 100 negozi in Italia e uno è nel suo quartiere è un segno divino e bisogna approfittarne.)
Eccola, la vita dei foodblogger tipo 3, il cui destino alimentare è una corsa in salita, tra torte, timballi, braciole e patate al forno, con un freezer strapieno di cibo, un frigo peggio e una dispensa  fornita che manco un ristorante...
Cucinare per lavoro o per passione, in casa propria, ci porta nostro malgrado ad avere continue tentazioni e se io sposo al 100% il detto di Oscar Wilde e quindi alle tentazioni non so resistere è pur vero che l'attesa del piacere è essa stessa un piacere (so cosa state pensando ma non finirò la frase dicendovi che "non ci sono più le mezze stagioni") e quindi il piacere di una cena nel miglior Vietnamita della zona o la sagra dell'arrosticio io le intervallo con cruditè e appetizer vegetariani, cercando di convincermi che siano essi stessi un piacere, se non per il palato, almeno per il mio corpo. Dentro e Fuori.

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