Paura, felicitá e trullallá



Era l'inizio di una tiepida estate, ero stanca ma curiosa di vita e mi ritrovai a chiedere a una persona:
- Ma tu, sei felice?
La sua risposta fu, semplicemente:
- Si
Allora, diciamolo, a prescindere dal fatto che se questa persona è felice allora io sono un unicorno mormone con le exstension e il semplice fatto che (ne) stessimo parlando presuppone che - in verità - felice non fosse, la questione che mi preme sottolineare e che ha ispirato questo post è una: quanto riusciamo a credere davvero in quello che diciamo e quanto invece ci ritroviamo a raccontarcela, la realtà, non tanto per quella che è quanto per quello che ci piacerebbe fosse? il tutto per la paura di svegliarci una mattina, che sia da soli, di fianco al partner, con i nostri sette cani, o con quattordici gatti, oppure con tre figli insomma, di svegliarci un giorno e accorgerci che non siamo felici?
Ma la felicità, poi, cos'è?
Io credo che esistano due differenti felicità, quella oggettiva e quella mentale.
Nella felicità oggettiva la nostra vita è palese a chi ci è vicino tanto da conoscere luci e ombre della nostra vita.
Io posso sembrare una persona allegra, serena e soddisfatta ma magari celare un dolore profondo che stigmatizzo ridendo (anche) di me.
Solo le persone che ci conoscono da vicino sanno cosa siamo, cosa celiamo dentro, sanno leggere i segnali e capire i nostri stati (d'animo). Se siamo fortunati ci saranno persone che chiederanno, random, come stiamo, se siamo fortunatissimi ci saranno un paio di persone che non hanno nemmeno  bisogno di chiedere. Loro sanno. Punto. 
La felicità mentale, invece, è quella parte della nostra vita che non possiamo imbrogliare, quando si dice "tu te la racconti" ecco, alla felicità mentale non la si fa...non la freghi, la felicità mentale è dentro ognuno di noi, possiamo vederla o fingere di ignorarla ma torna, puntuale come una sveglia, nelle notti che viviamo insonni, nelle tachicardie, nei malesseri, nelle acidità di stomaco e in ogni ansia, panico o somatizzazione che viviamo.
A questo punto la domanda più ovvia è: perché l'uomo sopporta tutto questo? Perché non segue i dettami più qualunquisti e non persegue la felicità egoistica che lo libererebbe da tutti i sopracitati sintomi e gli farebbe vivere la realtà che più gli piace, che più gli è consona?
Penso che sia per paura.
Per paura e per la cieca convinzione nell'esistenza della reincarnazione.
Ora. A prescindere dal fatto che a qualcuno auguro di reincarnarsi in un ciottolo di fiume, così da trascorrere la sua lunga vita immobile sul letto di un fiume ed esaudire il suo evidente desiderio di pace, tranquillità e trullallá fino a che le acque del fiume non lo corrodano riducendolo in polvere, in un fiume senza pesci però, per cui non si possa trastullare neanche guardando variopinte bestiole passargli sopra ma viva nella noia infinita, aspettando una vecchiaia che, indovina un po', non arriverà mai (perché i ciottoli non invecchiano...) insomma, a prescindere dagli anatemi che solo noi donne sappiamo lanciare, non trovo altra spiegazione all'immobilismo umano oltre che quello della fiducia che "la prossima vita andrà meglio". 
Ma la fiducia nella prossima chance non è anche un procrastinare? Si che lo è...
Procrastinare a quando? Alla prossima stagione, al prossimo anno, a tra qualche anno, in maturità, in vecchiaia, nella tomba et voilà, ecco che siamo arrivati a firmar cambiali per la prossima vita, per paura di agire in questa.
E qui torniamo al nodo centrale che dà il titolo a questo post, la paura, che divide, ma non so in che percentuale, le persone che leggono questo post.
Una parte di voi avrà sempre paura di rischiare di essere felice, perché avrà sempre terrore del percorso da intraprendere per arrivarci. Un'altra parte invece, coraggiosa spavalda e estremamente incosciente, semplicemente se ne fotte del presente e vive, anche ora mentre mi legge, le difficoltà come una parte del tutto, perché - semplicemente - le mette in conto e vivendo se la gode, che sia il percorso, che sia la meta (che poi, se ti godi il percorso, la meta è davvero importante come si pensa?)
Ma la domanda adesso è solo una. Tu, che leggi, da che parti ti senti di stare?

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