Compromessi a tavola. O forse no

Avevo da tempo deciso di sfatare un mito che si stava creando su Twitter. Ora, magari la parola "mito" è esagerata, anzi lo è sicuramente, ma c'era 'sta voce che girava (nata dalla mia idea che essere incorruttibile a tavola come è ogni food blogger fosse un'esagerazione) che io portassi avanti la bandiera di una cucina fin troppo contaminata, una voce messa in circolo da soggetti incorruttibili, talebani del food fin troppo raccomandabili, che non mangiano Nutella e non entrerebbero in un McDonald's nemmeno se fosse l'unico dispensatore di cibo in un Italia post nucleare. 
Cotali soggetti redarguiscono chi non ha una condotta culinaria al limine della santità e fondano club culinari così esclusivi che a confronto il Rotary è un circolo di Burraco, selezionando severamente i fedelissimi ed escludendo giovani donne che si arrabattano in cucina con tutte le difficoltà che può incontrare una lavoratrice/blogger/aspirante giornalista/cuoca/casalinga/e poi una vita ogni tanto la vorrei anch'io.
Questa disgraziata donna sarei io.
Io che ammetto di amare appassionatamente la Nutella, un'amore ricambiato se non fosse che più di me l'amano i miei fianchi e allora mi freno dal comprarla ma non dal professare in ogni dove la passione che sento dentro, di cui forse un poco mi vergogno, perché quando sono davanti ad un vasetto di Nutella divento la donna scema che ama l'uomo sbagliato perdo ogni freno inibitore e mi faccio del male. Solitamente munita di un cucchiaio e una fetta di pane.
Io che dopo aver letto il libro di Morgan Spurlock ne ho dedotto che si, andare al McDonald's farà sicuramente male ma se lo fai una volta al mese forse non t'ammazza, magari ti rende più forte o quantomeno tiene in allenamento i tuoi anticorpi, no?
E così potrei continuare per molto, perché se la vita è costellata di compromessi ero convinta che anche la vita a tavola lo potesse facilmente diventare.
Certo, ammiro le casalinghe del 2013 che possono dedicare 12 ore al giorno sette giorni su sette alla cura della famiglia e a loro stesse, cucinando dalla colazione alla cena, merende incluse, acquistando i prodotti nei mercati rionali, aspettando davanti ai fornelli per 50 minuti senzamaismetteredigirare che una farina si trasformi in polenta o che una buccia di mela compia il miracolo e trasformi la frutta bio (del mercato rionale, ovvio no?) in marmellata. O meglio, quel che resta della frutta bio, perché se la memoria non m'inganna quando ero piccola e la mia mamma casalinga cuoceva la marmellata per due ore senza polverine magiche (leggi Fruttapec) la metà se la ritrovava appiccicata tra fornelli, muro e cappa, ma che je ne fregava alla mia mamma, lei aveva le restanti 10 ore per ripulire il tutto!
E vogliamo poi parlare dell'ammirazione per quelle casalinghe che si fanno il dado in casa? ma mica col Bimby, nooo, loro stan sempre li davanti ai fornelli a cuocere per ore e ore una poltiglia di verdure, carne e sale il cui costo, a fine preparazione, se si monetizza l'energia utilizzata, sarà pari a quello di un dado Knorr in oro massiccio. 
Ed invece io ero pronta a fare outing, anzi a completare l'outing iniziato sulla pagina Facebook e continuato su Twitter, perché ammetto che da qualche tempo uso il dado preparato col Bimby ma che prima vendevo la mia anima al granulare della Dial Brodo; e ammetto anche di usare i legumi in scatola e la farina precotta per polenta, quella che cuoce in otto minuti e che fa rattristare gli amici quando entrano in casa e vedono che la food blogger non gli ha preparato la polenta, quella "buona". Amici c'ho 'na vita e lavoro cinque giorni e mezzo a settimana. Che volemo fa'?  
Ero pronta a riconoscere un forse eccessivo libertinaggio a tavola se non fosse che un paio di episodi mi han fatto ricredere. 
Si perché se mi son ritrovata a riprendere uno chefperpassione, un cuoco per casa che si è macchiato della colpa di comprare una piada al supermercato per una cena veloce, io che per cena ho spesso aperto una scatola di tonno, nemmeno a pinne rosse*, nemmeno in olio evo, una scatola troppo piccola per contenere del buon tonno, allora - diciamo a Roma - de che stamo a parlà? E se son sempre io a desiderare che i giorni passino e la confezione di gnocchi industriali portati a casa dal compagno scada per non essere costretta a mangiarne, perché "voj mette gli gnocchi fattincasadeporanonnamia?" alcuni dubbi iniziano ad insinuarsi nella mia mente. Ma la prova scioccante dell'essere anch'io vittima della foodblogeritudine l'ho avuta l'altro giorno, quando una mia amica a fine cena ha sgranato gli occhi di fronte a un bicchiere di Passito di Pantelleria, ammettendo di non averne mai sentito parlare (!!!) e chiendomi del ghiaccio (!!!) perchè "nel Bayles il ghiaccio ci sta tanto bene"  ed io per poco non cadevo dalla sedia, sconcertata che qualcuno potesse arrivare alla soglia dei quaranta senza aver mai provato la gioia di meditare a fine pasto con un calice di Passito tra le dita, o anche solo di fingere di meditare e inzupparci dentro dei tozzetti home made. 
E ho capito. 
Ho capito che se la vita è fatta di priorità e se ognuno di noi ha i suoi punti fermi che lo guidano nella scelta di chi essere e del perché esserlo, è anche vero che potrai venerare la Nutella, scaldare fagioli in scatola, ma se sei una donna sei scassacavoli di natura e in continua contraddizione con il mondo e spesso anche con te stessa. Se poi sei food blogger peggio mi sento. 

*Tonno a pinne rosso, un tonno realmente pregiato, nettamente superiore al tonno a pinne giallo pubblicizzato in televisione.

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